IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Premesso  che  il  detenuto Ercolano Salvatore, nato il 12 gennaio
 1950 a Catania, attualmente ristretto presso la casa circondariale di
 Milano in espiazione della pena di anni dodici  di  reclusione  (anni
 uno  condonato) inflittagli con sentenza 11 dicembre 1991 della corte
 di assise di appello di Palermo per i reati  di  cui  agli  artt.  75
 della  legge  n.  685/1975  e  416-  bis del c.p., nonche' appellante
 avverso le sentenze 17 giugno 1992 della corte di assise di Catania e
 14 giugno 1988 della corte di appello di Genova per i  reati  di  cui
 agli  artt.  575  del  c.p.  e 75 della legge n. 685/1975, in data 28
 settembre 1992 ha proposto reclamo avverso l'applicazione del  regime
 detentivo  di  cui  all'art.  41-bis,  secondo  comma, della legge 26
 luglio 1975, n. 354, introdotto dall'art. 19 del d.l. 8 giugno 1992,
 n. 306, convertito con modificazioni dalla legge 7  agosto  1992,  n.
 356;
    Premesso  che l'interessato, ritualmente citato ai sensi dell'art.
 14- ter o.p., e' comparso all'odierna udienza e che l'amministrazione
 penitenziaria, regolarmente avvisata, non presentava memorie;
    Viste le conclusioni del p.g. e del difensore di cui al verbale di
 udienza;
                           OSSERVA IN FATTO
    Con decreto ministeriale del 20 luglio 1992 il  detenuto  Ercolano
 Salvatore,  ristretto presso la Casa circondariale di Messina, veniva
 sottoposto al regime particolare di cui all'art. 41- bis della  legge
 n. 1975/354, con conseguente sospensione del godimento delle seguenti
 regole  trattamentali:  1)  corrispondenza  telefonica  ed epistolare
 (quest'ultima  se  non  sottoposta a visto di controllo); 2) colloqui
 visivi con frequenza superiore ad uno al mese di durata superiore  ad
 un'ora  con  familiari  o  conviventi;  3)  colloqui  con  terzi;  4)
 ricezione dall'esterno di somme in  peculio  superiore  ad  un  certo
 ammontare  mensile,  nonche'  di  pacchi contenenti generi ed oggetti
 diversi da abiti, biancheria ed indumenti intimi;  5)  organizzazione
 attivita'   culturali,   ricreative   e   sportive;   6)   nomina   e
 partecipazione alla rappresentanza dei detenuti;  7)  svolgimento  di
 attivita'  artigianali;  8) acquisto di generi alimentari richiedenti
 la cottura; 9) permanenza all'aperto per un tempo superiore alle  due
 ore giornaliere.
    Trasferito  per  ragioni  di salute presso il centro clinico della
 Casa circondariale di Milano, l'Ercolano in data  28  settembre  1992
 proponeva  reclamo  a questo tribunale avverso l'applicazione del re-
 gime   detentivo   predetto,    chiedendone    la    revoca    stante
 l'impossibilita',  in  costanza  di  esso, di curare adeguatamente il
 proprio stato di salute gravemente compromesso.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    Preliminare appare la questione della ammissibilita'  del  reclamo
 ai   sensi   dell'art.   14-   ter   o.p.  avverso  il  provvedimento
 ministeriale.
    Il dato dal quale occorre partire e' quello  relativo  all'assenza
 di  specifica  disposizione  legislativa  che  preveda la facolta' di
 reclamo avanti la magistratura di sorveglianza da parte del  detenuto
 avverso  il  provvedimento  amministrativo di applicazione del regime
 detentivo di cui all'art. 41- bis o.p.
   A fronte della mancanza  di  espressa  disposizione  normativa  che
 contempli  la  possibilita'  di un controllo giurisdizionale ad opera
 della  autorita'  giudiziaria  ordinaria  nei   confronti   dell'atto
 ministeriale sospensivo delle regole trattamentali, occorre stabilire
 se  possa applicarsi in via analogica la disciplina dettata dall'art.
 14- ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, per il reclamo avverso il
 regime di sorveglianza particolare di cui all'art. 14- bis o.p.
    Ritiene questo collegio che non possa farsi ricorso, per analogia,
 alla procedura  contemplata  dall'art.  14-  ter  sopracitato  stante
 l'impossibilita'  di  assimilare,  quanto  alla  ratio  legis  ed  ai
 presupposti, il regime di sorveglianza particolare ex  art.  14-  bis
 o.p. a quello di al secondo comma dell'art. 41- bis o.p. In proposito
 deve  in  primo  luogo  osservarsi  come  certamente  diverse sono le
 finalita' cui tendono i due istituti della sorveglianza particolare e
 della sospensione delle normali regole di trattamento  penitenziario.
 Mentre il primo risponde all'evidente intento di garantire da un lato
 la   tutela   della  sicurezza  e  dell'ordine  delle  carceri  e  la
 realizzazione del momento rieducativo della pena (che si  concretizza
 mediante  l'accesso  dei  detenuti  alle  attivita'  trattamentali) e
 dall'altro la convivenza paritaria e pacifica tra reclusi, il  regime
 previsto  dall'art.  41-bis,  secondo comma, della legge n. 354/1975,
 che  sostanzialmente  riproduce  l'abrogato  art.  90  o.p.,  mira  a
 tutelare  esigenze  che  non  ineriscono  il  governo  interno  degli
 istituti, bensi' la  situazione  esterna  agli  stessi  che  potrebbe
 essere  compromessa  da  iniziative  di  persone  ristrette. Non deve
 dimenticarsi infatti che la occasio legis  determinante  l'emanazione
 da  parte  del  governo  del  decreto-legge  8  giugno  1992,  n. 306
 (successivamente convertito nella legge 7 agosto  1992,  n.  356)  il
 quale  ha  introdotto appunto il secondo comma dell'art. 41- bis o.p.
 fu proprio una grave situazione di emergenza esterna.
    Peraltro l'intento del legislatore  di  utilizzare  il  regime  di
 sospensione  delle regole trattamentali non come mezzo indirizzato ad
 assicurare la tranquilla vita carceraria  e  la  soddisfazione  delle
 esigenze  del  trattamento,  bensi'  come  strumento  per  combattere
 situazioni di grave  pericolo  per  la  sicurezza  collettiva  appare
 altrettanto  manifesto  laddove  si  esamini  da  un  lato  il tenore
 letterale  del  secondo  comma  dell'art.  41-bis,  con   particolare
 riferimento  all'utilizzo  della  locuzione  "motivi  di  ordine e di
 sicurezza pubblica" nonche' alla possibilita' da parte  del  Ministro
 degli   interni   di  sollecitare  l'adozione  del  provvedimento  di
 sospensione  delle  regole  trattamentali  e  dall'altro  la  diversa
 collocazione legislativa degli artt. 14- bis e 41- bis della legge n.
 354/1975.   La  prima  norma  e'  infatti  inserita  nel  capo  terzo
 concernente le modalita' di trattamento, la seconda nel  capo  quarto
 relativo al regime penitenziario.
    Se  certamente diversi, rispetto al regime di cui al secondo comma
 dell'art. 41- bis della legge n. 354/1975, debbono configurarsi,  per
 le   ragioni   fin  qui  esposte,  la  ratio  ed  i  presupposti  del
 provvedimento di sorveglianza particolare applicato nei casi previsti
 dalle lettere a), b) e c) del primo comma  dell'art.  14-  bis  della
 legge  n.  354/1975,  va  esaminata  la possibilita' di escludere con
 certezza la sostanziale identita' di presupposti della fattispecie di
 cui al quinto comma dell'art. 14- bis o.p. e del  particolare  regime
 ex  art.  41-  bis  o.p. Invero, mentre nelle ipotesi di cui al primo
 comma dell'art. 14- bis o.p.  gli  elementi  dai  quali  desumere  la
 pericolosita'  dei  detenuti  da sottoporre al regime di sorveglianza
 particolare ineriscono esclusivamente alla condotta inframuraria,  il
 quinto  comma  della  norma  medesima subordina la applicazione delle
 restrizioni detentive all'esistenza di comportamenti  sintomatici  di
 pericolosita'  serbati  in  ambiente  libero  e  pertanto  esterni al
 circuito penitenziario.
    Anche in tal caso infatti diversi sono i presupposti  applicativi.
 La  sottoposizione  al  regime  di cui all'art. 41- bis o.p. riguarda
 esclusivamente "i detenuti per taluno dei delitti  di  cui  al  comma
 primo  dell'art.  4- bis della legge n. 354/1975", con riferimento ai
 quali il legislatore pare avere sancito  una  presunta  pericolosita'
 sociale in relazione al mero titolo di reato.
    L'ipotesi  si  applicazione di sorveglianza particolare introdotta
 al quinto comma dell'art. 14- ter o.p. si fonda invece sulla base  di
 precedenti    penitenziari   o   di   altri   comportamenti   tenuti,
 indipendentemente  dalla  natura  dell'imputazione,  nello  stato  di
 liberta',  con l'espressa esclusione del mero riferimento alla natura
 del reato per il quale il detenuto e' indagato o ha  subito  condanna
 (cfr. in tal senso cass. sez. 1, tentenza 7 ottobre 1987).
    Sulla  base  delle considerazioni fin qui esposte ritiene pertanto
 questo Collegio che, non potendosi  applicare  in  via  analogica  il
 procedimento  previsto  dall'art.  14-  ter  o.p.  per  le ipotesi di
 sorveglianza   particolare,   occorre   verificare   allora   se   il
 provvedimento   di   attivazione   del  regime  individuale  ex  art.
 41-bis,secondo   comma,   o.p.   sia   sottoponibile   a    controllo
 giurisdizionale avanti altre autorita' giudiziarie.
    Ci si puo' chiedere se sia ravvisabile la giurisdizione in materia
 del magistrato di sorveglianza.
    In  proposito  va  in primo luogo osservato che non e' rinvenibile
 alcuna  norma  che  preveda  per  il  detenuto  la  possibilita'   di
 instaurare  avanti  il  magistrato  di  sorveglianza  un procedimento
 giurisdizionale ad hoc avente tutte le garanzie idonee ad  assicurare
 un  regolare  contraddittorio fra le parti, cosi' come il legislatore
 ha invece previsto, richiamando espressamente  la  procedura  di  cui
 all'art.  14- ter o.p., per i reclami avanzati in materia di lavoro e
 di esercizio del potere giurisdizionale (cfr. art. 69,  sesto  comma,
 o.p.).
    Come  e' noto il magistrato di sorveglianza, in qualita' di organo
 monocratico,  esercita   una   funzione   diretta   a   sovrintendere
 l'esecuzione   delle  pene,  tramite  attivita'  di  vigilanza  sulla
 organizzazione degli istituti di prevenzione e di  pena  (consistente
 anche  nel  prospettare  al Ministero le esigenze dei vari servizi) e
 della custodia nei confronti  degli  imputati,  assicurando  in  tale
 ultimo   caso  il  rispetto  delle  formalita'  imposte  da  leggi  e
 regolamenti. In capo al magistrato  di  sorveglianza  e'  ravvisabile
 pertanto  un  potere  di  controllo sulla legalita' dell'azione della
 amministrazione penitenziaria sia periferica che centrale.
    Si tratta di  accertare  se  le  doglianze  dedotte  dal  detenuto
 sottoposto  al regime di cui al secondo comma dell'art. 41- bis o.p.,
 le quali ben possono essere prospettate al magistrato di sorveglianza
 nella forma del reclamo,  cosi'  come  previsto  dall'art.  35  o.p.,
 possono  trovare  adeguata tutela giurisdizionale tramite l'esercizio
 da parte dell'autorita' giudiziaria del generico petere di  vigilanza
 a  questa attribuito dall'art. 69, primo e secondo comma, della legge
 n. 354/1975.
    Tale norma nulla stabilisce in ordine alle  modalita'  tramite  le
 quali  viene concretamente esercitata la funzione di vigilanza, salva
 l'indicazione di un generico potere di  prospettazione  al  Ministero
 delle  necessita' di volta in volta emergenti in relazione ai servizi
 penitenziari volti ad attuare il trattamento rieducativo.
    A fronte del silenzio del legislatore il quale non introduce alcun
 mezzo  di  impugnazione  specifico  da   esperire   avanti   l'organo
 monocratico,  il potere di controllo esercitato certamente non assume
 la  veste  dell'atto  giurisdizionale,  bensi'  di   atto   meramente
 amministrativo, seppure promanante da una autorita' giudiziaria.
    Se  quindi  il detenuto, sottoposto al regime penitenziario di cui
 al secondo comma dell'art. 41- bis o.p., che  si  ritenga  di  essere
 leso dal provvedimento penitenziario, non dispone di alcuno strumento
 giurisdizionale   da   esperire   davanti  all'autorita'  giudiziaria
 ordinaria, resta da accertare se rimane per il detenuto reclamante la
 facolta' di adire l'autorita' giudiziaria  amministrativa  secondo  i
 principi generali che regolano la giustizia amministrativa.
    Vale  la  pena  di ricordare che, nella vigenza dell'art. 90 della
 originaria disciplina della legge n. 354/1975, il quale  disciplinava
 analogo   potere   ministeriale   di  sospensione  delle  regole  del
 trattamento, il t.a.r. affermava il proprio difetto di  giurisdizione
 a   decidere   sui  reclami  proposti  dai  detenuti  avverso  l'atto
 amministrativo di sottoposizione del regime di cui all'art.  90  o.p.
 (t.a.r. Lazio, sez. 1, sentenza 13 settembre 1984, n. 771).
    In  particolare  il predetto organo osservava che "agli effetti di
 effettuare il  riparto  di  giurisdizione  fra  giudice  ordinario  e
 giudice  amministrativo,  cio'  che  conta  non  e' la qualificazione
 giuridica che l'istante conferisce alla posizione  soggetiva  di  cui
 chiede  la  tutela,  ma la reale consistenza di detta posizione cosi'
 come risulta disciplinata  dalle  fonti  di  normazione.  Ritiene  il
 collegio che non possa dubitarsi che i provvedimenti ministeriali che
 hanno disposto nei confronti dei ricorrenti la sospensione temporanea
 delle regole di trattamento carcerario (art. 90 della legge 26 luglio
 1975,  n.  354),  incidono  in  via  immediata e diretta su posizioni
 giuridiche  soggettive  qualificabili  come   diritti   di   liberta'
 costituzionalmente  garantiti.  Nei  confronti  delle  determinazioni
 impugnate i ricorrenti si presentano quindi come titolari di  diritti
 soggettivi  associati  ed  inviolabili  i  quali, proprio per la loro
 inerenza alla persona umana e per essere costituzionalmente garantiti
 innanzitutto nei confronti dell'autorita' pubblica,  per  definizione
 non  sono degradabili ad interessi legittimi. Nei loro confronti sono
 infatti ipotizzabili forme di restrizione nei casi e con le procedure
 garantistiche espressamente previsti dalla  legge,  ma  mai  la  loro
 degradazione  ad  interessi  legittimi,  la  quale  presuppone poteri
 ablatori in capo all'amministrazione di cui  quest'ultima  certamente
 non dispone".
    Le  considerazioni  riportate paiono a questo tribunale pienamente
 condivisibili. Non  vi  e'  infatti  chi  non  vede  come  il  regime
 penitenziario  di  cui al secondo comma dell'art. 41- bis o.p. incida
 non certo su posizioni  di  mero  interesse  legittimo  e  come  tali
 tutelabili  in  via esclusivamente amministrativa, bensi' sui diritti
 essenziali della persona umana (il diritto alla  liberta'  personale,
 alla  liberta'  di  espressione  e  comunicazione) riconosciuti dalla
 Costituzione  la  cui   compressione   non   puo'   mai   determinare
 l'affievolimento degli stessi ad interessi legittimi.
    Se   quindi  la  posizione  giuridica  soggettiva  su  cui  incide
 direttamente  l'atto  amministrativo   ministeriale   rientra   nella
 categoria  dei  diritti soggettivi ne deriva, in ossequio al criterio
 di  riparto  della  giurisdizione,  il   difetto   di   giurisdizione
 dell'autorita'  giudiziaria amministrativa ad esercitare il sindacato
 giurisdizionale sui reclami avanzati dai detenuti sottoposti  al  re-
 gime penitenziario di cui all'art. 41- bis o.p.
    Alla  stregua  delle considerazioni che precedono deve concludersi
 pertanto nel senso che la normativa vigente non consente di  esperire
 alcun  rimedio  giudiziale  nei  confronti  dell'atto  amministrativo
 emanato ai sensi dell'art. 41-  bis  o.p.  che  sospende  le  normali
 regole del trattamento penitenziario.
    Ritiene  questo collegio che la impossibilita' di proporre reclamo
 avverso tale provvedimento costituisca  situazione  confliggente  con
 alcuni  principi  costituzionali  e  pertanto da sottoporre al vaglio
 della Corte costituzionale.
    Va  in  primo  luogo  affermata  la  rilevanza  della  prospettata
 questione di legittimita' ai fini della decisione.
    Invero,  il  giudizio  instaurato  avanti questo tribunale ha come
 fine essenziale quello di consentire  un  controllo  di  legittimita'
 dell'operato  dell'amministrazione penitenziaria che ha sottoposto il
 detenuto Ercolano Salvatore al regime trattamentale di cui al secondo
 comma  dell'art.  41-  bis  o.p.  Orbene,  l'eventuale  pronuncia  di
 illegittimita'  costituzionale  della norma richiamata nella parte in
 cui  non  prevede  la  possibilita'  per  il detenuto di impugnare il
 provvedimento ministeriale sospensivo delle  regole  del  trattamento
 consentirebbe a questo tribunale di esaminare il merito del reclamo e
 quindi  di pronunciarsi in ordine alla legittimita' del provvedimento
 di cui il detenuto chiede la disapplicazione.
    Quanto alla non manifesta  infondatezza  della  questione  ritiene
 questo  tribunale  che il secondo comma dell'art. 41- bis della legge
 n.  354/1975  appaia   in   contrasto   con   i   seguenti   principi
 costituzionali:
      1)  art.  3  della  Costituzione  laddove  a situazioni uguali -
 detenuti che si vedono comprimere i propri  diritti  alla  persona  a
 fronte   di   maggiori   esigenze  di  sicurezza  e  controllo  della
 pericolosita' di volta in volta individuata - non  corrisponderebbero
 uguali garanzie giurisdizionali.
    Invero, mentre il provvedimento dell'amministrazione penitenziaria
 che  dispone  il  regime di sorveglianza particolare, consistente, ai
 sensi dell'art. 14-quater o.p., restrizioni all'esercizio dei diritti
 dei detenuti e  alle  regole  del  trattamento,  e'  sottoposto  alla
 giurisdizione   del   tribunale   di   sorveglianza   attraverso   la
 proposizione del reclamo previsto dall'art. 14- ter o.p. assistito da
 tutta  una  serie  di  garanzie  idonee  ad  assicurare  un  regolare
 contraddittorio  delle parti, l'atto amministrativo di sottoposizione
 al regime penitenziario di cui al secondo  comma  dell'art.  41-  bis
 o.p.,  che  pure, si e' visto, incide in misura gravemente repressiva
 sui   diritti   essenziali   dell'individuo    dotati    di    tutela
 costituzionale,  sfugge a qualsiasi tipo di controllo di legalita' in
 ordine alla conformita' dello stesso alla legge,  non  consentendo  a
 colui che vi e' sottoposto di dolersi della eventuale illegittimita';
      2)  art.  24, primo comma, della Costituzione secondo cui "tutti
 possono agire in giudizio per la tutela dei  propri  diritti",  norma
 che  deve  essere letta insieme all'invocato principio di uguaglianza
 di  cui  costituisce  una  specificazione  (Corte  costituzionale  n.
 55/1974).
    Il  diritto  alla  tutela  giurisdizionale sancito dalla norma "va
 annoverato  tra   i   principi   supremi   del   nostro   ordinamento
 costituzionale in cui e' intimamente connesso con lo stesso principio
 di   democrazia   l'assicurare   a  tutti  e  sempre,  per  qualsiasi
 controversia, un giudice e un giudizio" (cosi' ha affermato la  Corte
 costituzionale nella pronuncia n. 18/1982).
    Nel  caso  che  qui occupa e' pacifico, come piu' volte ricordato,
 che il provvedimento ministeriale di sottoposizione al regime di  cui
 al   secondo  comma  dell'art.  41-  bis  o.p.  incide  su  posizioni
 giuridiche soggettive qualificabili come diritti e come tali  oggetto
 di  indefettibile  tutela giurisdizionale intesa come possibilita' di
 esercizio  dell'azione  processuale  e,  una  volta   instaurato   il
 giudizio,  come  possibilita'  di  vedersi  assicurata la facolta' di
 difesa sotto il duplice profilo della difesa tecnica e  del  rispetto
 del principio del contraddittorio;
      3)  art.  113, primo e secondo comma, della Costituzione secondo
 cui "contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa
 la tutela giurisdizionale dei diritti  e  degli  interessi  legittimi
 dinnanzi  agli  organi  di  giurisdizione ordinaria o amministrativa.
 Tale tutela giurisdizionale non puo'  essere  esclusa  o  limitata  a
 particolari  mezzi  di  impugnazione  o  per determinate categorie di
 atti".
    La  norma, che costituisce puntuale specificazione ed applicazione
 di quanto disposto in termini generali dal primo comma  dell'art.  24
 della  Costituzione  e  che  deve  essere  letto  in  connessione  al
 principio di uguaglianza, garantisce la giurisdizione  dell'autorita'
 giudiziaria  ordinaria  in  materia di diritti soggettivi dei singoli
 che si ritengano lesi da un atto della pubblica amministrazione.
    Corollari del principio di cui  al  primo  comma  sono  i  divieti
 sanciti dal successivo secondo comma.
    La  regola  della indefettibilita' della tutela prevista dall'art.
 113 della Costituzione non pare rispettata nel caso di  specie  posto
 che  avverso  il provvedimento ministeriale che applica nei confronti
 del singolo detenuto il regime penitenziario di cui al secondo  comma
 dell'art.  41- bis o.p., incidente, si ripete, sui diritti soggettivi
 del medesimo la legge non  attribuisce  al  recluso  alcun  mezzo  di
 impugnazione  avanti  l'autorita'  giudiziaria  ordinaria, laddove la
 magistratura di  sorveglianza  e'  pacificamente  riconosciuta  quale
 giudice  naturale della situazione giuridica sostanziale del detenuto
 nei  suoi  rapporti  con  l'amministrazione  penitenziaria  allorche'
 l'operato di questa venga ad incidere sui suoi diritti soggettivi.